Mi ricordo

Mi ricordo tutto di quella notte di Agosto, con una lucidità e precisione di dettagli che mi sconvolge
Mi ricordo che avevo tredici anni e che dormivo nel mio letto. Mi ricordo di una voce in lontananza che mi chiamava, la voce de mio babbo. Mi chiamava in aiuto, pensavo fosse un sogno, con fatica realizzai che non lo era.
Mi ricordo di essermi alzato di colpo dal letto. Da quel momento tutto ha cominciato ad andare più veloce, frenetico, angosciante. Io che corro in camera da letto dei miei genitori, il mio babbo piegato sul corpo di mia mamma, nel tentativo di fare quello che sembrava essere un massaggio cardiaco. A quel punto la richiesta di andare a bussare ai vicini affinché chiamassero un'ambulanza; eravamo nella casa a Fiuggi dove i miei genitori avevano il negozio e dove d'estate vivevamo, era senza telefono e in quegli anni i cellulari erano una cosa ben rara.
Mi ricordo di me che esco di corsa dalla porta di casa, sul pianerottolo, fino alla porta dei nostri vicini. Suono insistentemente il campanello, come se premere quel pulsante più forte potesse amplificarne il suono. I miei vicini si svegliano e li sento chiamare il nome della loro figlia: una ragazza un po' più grande di me che gli aveva dato qualche grattacapo in passato. Aprono la porta ed invece si trovano di fronte me, una ragazzino impaurito e farneticante. Ancora adesso non so neanche cosa sia riuscito a dirgli. Alla fine riescono a chiamare l'ambulanza. Torno in camera dal mio babbo, già intuisco che forse non c'è più niente da fare, mentre lo vedo chino nel tentare una respirazione bocca a bocca. Si ferma e mi chiede di portare mia sorella in camera mia, lei era nella stessa camera, non ricordo se in un lettino o nel lettone in mezzo a loro. Per fortuna, in mezzo a tutto quel vortice, non si era svegliata, ha sempre avuto il sonno pesante e tuttora non si smentisce. Aveva soli cinque anni. La distendo sul mio letto e poi scendo in strada ad aspettare l'ambulanza. Abitavamo in una traversa di una via principale quindi, per essere sicuro che ci trovassero subito, li aspetto all'incrocio.
Mi ricordo dell'ambulanza e dei soccorritori che salgono in casa, il medico non era con loro ma sarebbe arrivato in un automedica. Torno in strada. Il medico arriva e lo accompagno in casa. Non so quanto tempo passi ma mi rivedo quando il medico si siede accanto a me facendomi capire che mia mamma non ce l'aveva fatta. Che non c'era più, che non sarebbe più venuta a darmi la buonanotte anche se ormai ero già grandicello. Che non ci sarebbe stata tutte le volte che avrei avuto bisogno di un confronto, di un litigio, di ripetere la lezione di storia prima di un'interrogazione. Non ci sarebbe stata a confortarmi quando sarebbero arrivate le prime pene d'amore. Quel medico mi fece capire che tutto sarebbe inesorabilmente cambiato.

Qualche ora dopo arrivarono i miei nonni materni, i proprietari del negozio a fianco al nostro ed anche la commessa che lavorava insieme ai miei genitori, oramai vecchi amici. Non so quante altre persone ci fossero. Mi ricordo che venni accompagnato sul divano e mi venne suggerito di riposarmi, di dormire un po'. Avevo sonno nonostante fossi ancora frastornato e non avessi nemmeno capito quello che era appena successo, ma non volevo dormire, dovevo stare sveglio perché dovevo essere forte, dovevo essere duro. Nessuno mi aveva mai detto di essere così ma, per qualche motivo, pensavo fosse così che dovessi essere. Mi addormentai lo stesso.

Del giorno dopo e dei giorni seguenti non ho un ricordo nitido come di quella maledetta notte.

Mi ricordo tutto e non so quante volte ho desiderato di cancellare dalla mia mente quella notte, come se non fosse mai successa, come se la vita dopo quella sera in realtà fosse sempre stata così anche prima. Adesso però è diverso. Voglio guardare quel bambino negli occhi e fargli capire che quello che ha fatto, quella notte e negli anni successivi, non è stato nulla di scontato, non è stato affatto il minimo indispensabile, non è stato semplicemente solo quello che doveva essere fatto. Ce n'è voluto di tempo ma finalmente ho capito che quel bambino non ha fatto poco, che quello non era il minimo indispensabile ma molto di più, che non c'è bisogno di "vantarsi" delle proprie azioni ma che, a volte, bisogna concedersi anche dei meriti, che essere severi con se stessi può servire da sprone ma bisogna, qualche volta, dirsi anche un semplice "sei stato in gamba", perché volersi migliorare non significa non essere mai abbastanza. Adesso lo so, da qualche anno, e non lo dimenticherò.

Mi ricordo ma, adesso, non voglio dimenticare.

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