Quando facevano le squadre

Ogni tanto gli capitava di ripensare agli anni della scuola media. Quegli anni tremendi per un qualsiasi adolescente. A quell'età si fanno e si è vittima di cose stupide e, magari inconsapevolmente, tremende. Gli capitava di ricordarsi delle famigerate liste dei più belli e più belle della classe. Ricordava chiaramente l'innocenza con cui partecipava nello stilare quella lista sulle ragazze della propria classe, nemmeno immaginava quanto dolore una cosa così stupida e apparentemente innocente potesse creare. Si ricordava però quello che provava quando si leggeva in fondo alla lista fatta dalle ragazze della classe. Si ricordava chiaramente quanto la sua autostima ne uscisse malconcia. Allo stesso modo, quando si facevano le squadre per giocare durante l'ora di educazione fisica o alla fine di un allenamento di basket; essere scelto per ultimo era sempre una grossa delusione, quella sensazione di essere scelto perché non ci fosse rimasto nessun altro da scegliere e il malcapitato di turno si trovava obbligato ad accoglierlo nella propria squadra. Era una cosa frustrante e capiva, nonostante fosse a malapena un adolescente, che non si doveva infliggere una tale delusione a dei ragazzi che si stanno formando per diventare pochi anni più tardi degli uomini. Questo lo aveva segnato profondamente, tanto da comportarsi in modo anomalo per i più, quando toccava a lui fare le squadre. Si ricordava chiaramente di quante volte avesse scelto "il più scarso" a disposizione fra i primi se non addirittura per primo. Vincere o perdere una partitella di allenamento non gli avrebbe cambiato la vita, ma magari a chi si sentiva sempre escluso o l'ultimo della lista, ritrovarsi una volta ogni tanto fra i primi, forse, poteva almeno farlo sorridere, farlo sentire meno inadeguato, meno disprezzato. In fondo da adolescenti facciamo tutti più o meno schifo e non è certo una lista dei più belli o dei più bravi a giocare che determina l'uomo che saremo ed il nostro valore, ma di sicuro sapeva che ricevere anche un solo briciolo di fiducia in più poteva fare la differenza.

Crescendo si era accorto di quanto quelle liste e quelle scelte fossero stupide e senza un minimo significato riguardo al suo vero valore. Aveva una grande fiducia e consapevolezza delle sue qualità e conosceva altrettanto bene i sui limiti. Era cresciuto, era diventato un uomo e aveva capito quanto fosse importante essere inclusivo, non far sentire le persone in fondo ad una qualsiasi lista. Cercava in tutti i modi di non far sentire nessuno un "ultimo" perché si ricordava bene di quanto fosse doloroso sentire che esserci o meno non faceva differenze. Cercava di fare sua nel quotidiano una frase che aveva sentito in un film, "Will Hunting, genio ribelle", in cui si diceva: «Alcune persone non possono mai credere in se stesse, fino a quando qualcuno non crede in loro.». A volte basta davvero poco a dare quella spinta necessaria ad accrescere la fiducia in sé stessi, perché non tutti magari avevano la forza o la fortuna che aveva avuto lui a riuscire ad alzarsi ed affermarsi, senza aver avuto qualcuno abbia per primo creduto in loro.

Adesso non aveva più paura di quelle maledette liste, non aveva paura di essere in fondo a qualcuna di loro perché sapeva quanto valeva. Aveva chiaro in testa che non serve essere il primo in tutte le liste, ma basta esserlo in quelle delle persone davvero importanti, solo in quelle conta davvero essere in cima,. Il dolore provato in adolescenza riaffiorava però quando capiva che per alcune di quelle era di nuovo in fondo.

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